Fabiano Lioi: è lui l’autore di O.I. L’arte in una frattura. Il libro che non è solo un libro. Il catalogo artistico che è anche e soprattutto un percorso alla scoperta di una patologia per molti sconosciuta, l’Osteogenesi Imperfetta.
Ma visto che del libro abbiamo parlato abbondantemente (e se non hai ancora approfondito ti consigliamo di farlo qui), è arrivato il momento di conoscere Fabiano Lioi con questa breve intervista.
Se poi ti scoccia leggere, puoi anche vedere la video intervista qui o ascoltare la traccia audio integrale.
Si parte!
Senza troppi preamboli: quando sei nato e dove. Abbiamo bisogno di coordinate spazio-temporali per inquadrarti bene.
Sono nato l’8 settembre del 1977, a Santiago del Cile. Di giovedì: tu lo sai cosa si dice di quelli che sono nati di giovedì?
No, veramente no.
Io mi aspettavo che tu lo sapessi così imparavo qualcosa di nuovo.
E tu lo sai invece chi è nato l’8 settembre?
No.
Allora te lo dico io Ludovico Ariosto e Riccardo Cuor di Leone. Così almeno qualcosa l’hai imparata?
Io non lo sapevo, visto che è importante la comunicazione? Ho imparato qualcosa di nuovo.
Andiamo avanti con l’intervista che ne dici?
Beh sì dai, altrimenti qua finiamo domani.
Perfetto. Allora, dicevamo: sei nato in Cile. Quanti eravate a casa?
Eravamo Mamma, Papà e quattro figli, me compreso. E prima che me lo chiedi: sì, l’unico con l’Osteogenesi Imperfetta in famiglia sono io.
E allora prima che me lo dici tu, te lo chiedo io: oggi hai una famiglia tua?
Mmmh no. Diciamo che tra i tanti amori che passano, vanno e vengono, e i tanti amici che mi circolano attorno, nella mia vita, faccio una vita da single e sono single.
La curiosità di chiederti cosa vuol dire vita da single è molta, ma non voglio perdere il filo. E quindi torno in Cile: quanto ci sei stato?
Fino ai 13 anni. Ho vissuto fra Iquique e Santiago del Cile. Poi se non sai dove stanno, prendi la cartina e te lo vai a vedere.
Lo farò sicuramente. Però prima se non ti dispiace vorrei sapere com’è stata la tua vita in Cile.
La prima parte, quella da bambino, come tutti i bambini felice. Un bambino da spiaggia: pantaloncini corti, maglietta corta, abbronzatura, tanto mare, tanto deserto, tanto sport e contatto con la natura. Dopo, da adolescente sono andato a finire a Santiago del Cile. E come tutte le capitali del Sud America – non me ne vogliano i sudamericani – che non hanno il mare, tutto cemento, traffico pazzo. D’estate un caldo da morire e d’inverno altrettanto fredda. Quindi non mi piace Santiago, penso che si sia capito.
E quindi hai lasciato il Cile perché non ti piaceva Santiago e sei venuto in Italia?
Non è andata proprio così. Comunque il primo step della mia vita, il primo step del mio viaggio è stato qui in Italia.
Allora perché hai lasciato il Cile?
Per inseguire un sogno. Che poi sono diventati tanti sogni. Questo libro fa parte di quei tanti sogni che voglio realizzare.
Va bene, mi rimani sul vago quindi non affondo il colpo. Ma prima di parlare di cosa è successo quando hai lasciato il Cile vorrei capire: che cosa hai studiato? Perché se faccio due conti mi sembra che comunque tu abbia completato il percorso di studi in Cile.
Sì, ho fatto il Liceo Scientifico in Cile. E poi tanti laboratori, sia di teatro che di musica. Ma chi se lo ricorda più quello che ho fatto.
Ti sta invecchiando eh?
Perché tu non invecchi?
Ma per me invecchiare è una benedizione.
A chi lo dici!
Dunque… Mi hai portato fuori rotta. Come al solito.
Eh, lo so: sono uno che rompe.
Sì, rompi gli schemi di sicuro. Comunque: una volta che sei arrivato in Italia cosa hai fatto?
Sono arrivato in Italia il 25 luglio del 1999 all’aeroporto di Fiumicino, dove ho dormito per due o tre notti. Poi sono riuscito a prendere un treno che mi portasse a Potenza. Ho dormito una notte a Potenza anche qui sulle fantastiche panchine della stazione, e la mattina seguente prendo la corriera che mi porta a Oppido Lucano, che era la destinazione finale.
Perché proprio Oppido Lucano?
Perché era il paese natio di mio Nonno.
Ah, ecco. Però ho come l’impressione che non ti sei fermato in Basilicata.
No, non mi sono fermato in Basilicata. Ho viaggiato molto nella mia vita. Per adesso sono stato in Perù, Bolivia, Argentina, Venezuela. Poi in Europa sono stato in Spagna, Norvegia, Germania. Se si possono contare San Marino e Città del Vaticano come città estere, arriviamo a 13 Paesi del mondo.
È scontato se ti chiedo come mai hai viaggiato così tanto?
No, sarebbe stato più scontato se mi avessi chiesto “come fa uno nelle tue condizioni a viaggiare così tanto”. Ma posso soltanto dirti che è per curiosità. Sono una persona molto molto curiosa. E poi la realtà di tutto è che adoro quando mettono i timbri sul passaporto quando entri ed esci da un paese straniero.
Però oltre ai viaggi c’è stato molto altro: teatro, musica, cinema, performance artistiche di vario genere. Di questo che cosa mi racconti?
Aspetta di quale parte però. Mi hai chiesto quattro diverse!
Parti un po’ da dove vuoi. Tanto fai sempre quello che ti pare…
Allora, iniziamo dal teatro. Teatro poco e nulla: non mi piacciono i rapporti che si creano nei gruppi in tournée.
Però comunque hai fatto parte di due gruppi musicali, dal 2003 al 2005 con i Ladri di Carrozzelle e poi dal 2016 con i Mantic.
Sì, ero appena arrivato a Roma, ho visto per caso che i Ladri di Carrozzelle cercavano un integrante. Ho fatto il provino, loro mi hanno preso e il resto è storia. Poi ci sono i Mantic: l’unico gruppo che veramente sento mio. Eravamo quattro amici, ci siamo messi insieme a suonare e abbiamo spaccato un bel po’ il panorama musicale romano.
Oltre alla musica c’è stata anche la parte da performer e modello.
La performance e i video musicali sono il modo in cui io esprimo il mio assenso o dissenso nei confronti di questa società. Poi ho avuto la possibilità di posare per grandi e piccoli artisti .
Il tuo corpo in tutto questo che ruolo ha avuto?
Beh un ruolo fondamentale. Poi la cosa più bella di questo lavoro è che ti permette di essere anche chi non sei. Magari lo sei nel tuo inconscio, in una parte inconscia di te. Il mio corpo è importantissimo.
In effetti sei comparso in diversi spot, cortometraggi e film.
Sì, diciamo che mi sono dato da fare. Sai, all’inizio di qualsiasi tipo di carriera si tende a gonfiare il curriculum. Grazie ad amici grafici ho preparato showreel per far sembrare che fossi chissà che artista. Poi però quando sei chiamato e provinato, lì dipende tutto da te. O sei dentro o sei fuori.
E immagino che per te sia sempre meglio dentro…
E certo! Sempre meglio dentro.
Non avevo dubbi. E visto a questo punto che ci siamo dentro, che mi racconti dei tuoi progetti originali?
Allora, iniziamo da U.A.V.E.* che è l’acronimo di Urban, Action, Viral, Education. Inizialmente doveva essere il mio nome d’arte, ma poi si è trasformato in un movimento al quale vorrei che la gente aderisse.
Poi abbiamo Colorare per Nascondere – Svelare per Comunicare** invece è una performance di strada, fatta sia in Italia che all’estero. Tra l’altro questa performance è stata ospite del Big Draw di Barcellona organizzato dalla fondazione Museo Picasso, e ho partecipato grazie all’invito della Blueproject Foundation.
Poi, ti devo parlare di Perché No?!, una serie di scatti che si fa la mia carrozzina da sola. Lei da sola senza di me va in vacanza e come tutte le persone in vacanza si fa questi selfie nei posti più assurdi del mondo.
E come ultima cosa: sono diventato professore. Sto insegnando Arte della performance al Liceo Artistico e Coreutico “Nicola da Guardiagrele” di Chieti.
Adesso stai facendo soltanto il professore, o hai anche altro?
No, adesso grazie ai ragazzi di Psicografici, questa Web Agency di Roma, stiamo portando avanti questa campagna di crowdfunding per poter pubblicare il libro O.I. – L’arte in una frattura. E dopo il libro ci sarà un’eventuale mostra con gli scatti che compaiono in questo libro.
Oltre alla campagna di crowdfunding hai anche altri progetti per il futuro? O meglio: come ti vedi nel futuro?
Come attivista.
Addirittura, come una attivista. Quindi, sei così battagliero: hai anche un grido di battaglia?
No, non proprio un grido di battaglia, ho un motto. Mi piace dire che: “Nel guardare l’orizzonte, cielo e mare si uniscono. E mi sono chiesto cosa c’è lì? E io lì voglio arrivare”.
Questa è anche una frase che fai dire a Kim all’interno del tuo libro. Quindi si può dire che O.I. L’arte in una frattura è anche il manifesto delle tue idee?
Sì, ma più che altro mi piace definirlo come una specie di racconto visivo della mia patologia. Ma indubbiamente sì, i testi trasudano valori e idee che ho supportato.
Quali sono queste idee?
Supporto i diritti: il diritto per esempio ad avere un’opportunità.
Supporto il diritto a essere liberi, quindi il diritto allo studio. Perché oggigiorno la nostra società è molto ignorante, non è più una società libera. L’unico modo per essere veramente liberi è studiare.
E invece qualcosa che proprio non sopporti?
Non sopporto l’arroganza economica, quelli che pensano che perché hanno un soldo in più possono fare e dire quello che vogliono. Non supporto la nostra classe politica, perché fanno una politica non più pensata per gli altri, ma per se stessi.
Chiudiamo col botto, come nel tuo stile. Grazie per questa chiacchierata.
Prego.
*U.A.V.E. è un progetto che ha come obiettivo lo sforzo congiunto della società urbana attraverso un’azione virale educativa: la creazione di un gruppo di persone unite per migliorare la nostra società. Oggi con U.A.V.E. vengono promosse azioni educative come “ParcheggioAcazzo”, una campagna che prevede l’applicazione di un adesivo sulle vetture che vengono parcheggiate in modo da creare disagi. Sia agli handicappati che ai normodotati.
**Colorare per Nascondere – Svelare per Comunicare è una performance itinerante nella quale i passanti sono invitati a disegnare, pittare o lasciare una traccia di sé su un foglio di carta, sul quale è disegnato un disagio sociale. Lo scopo è di coprire interamente il foglio di colore.